Il nero e l'argento, frasi [Paolo Giordano]






Fra le innumerevoli cose che ho imparato su mia moglie in dieci anni di matrimonio c'è il vizio di isolarsi nei momenti di dolore. All'improvviso diviene inaccessibile, non permette a nessuno di consolarla, mi costringe a restare lì, spettatore inutile della sua sofferenza - una ritrosia che ho scambiato talvolta con una mancanza di generosità.





Non ci resta altro da fare davanti alla morte di qualcuno, se non inventare delle attenuanti, attribuire al defunto un ultimo gesto di premura che ha voluto riservare proprio a noi, disporre le coincidenze secondo un piano di senso.





- Mi manca il modo in cui ci dava coraggio. La gente è così avara di coraggio. Vogliono soltanto accertarsi che tu ne abbia ancora meno di loro.





A lungo andare ogni amore ha bisogno di qualcuno che lo veda e riconosca, che lo avvalori, altrimenti rischia di essere scambiato per un malinteso. Senza il suo sguardo ci sentivamo in pericolo.





Mi domando se la fede avrebbe sul serio attecchito in nostro figlio, nel caso la signora A. avesse avuto più tempo per curarla. Magari sarebbe stata una fortuna per lui: un credo qualunque, sensato oppure no, complesso o semplice a seconda dell'occorrenza, è pur sempre meglio di nessun credo. A volte ho l'impressione che noi ragazzi educati nel dominio della coerenza rigida, all'interno dello steccato del rigore scientifico, facciamo più fatica degli altri: vediamo troppo dell'infinita propagazione degli errori che si dirama nel mondo, fra individui ed eventi e generazioni, ma vederlo non significa che sappiamo farci qualcosa. Può darsi che avesse ragione la signora A. ad affidare parte del suo umore al divino, così come all'oroscopo radiofonico delle sette di mattina. Può darsi che abbia ragione Nora a portare al collo il suo rosario con leggerezza.





In aereo leggo un libro di Siddhartha Mukherjee, L'imperatore del male. Mukherjee, indiano-americano, dopo aver esplorato per anni il paludoso territorio d'intersezione fra l'ematologia e l'oncologia, ha compilato una storia romanzata del cancro in settecento pagine fitte di riferimenti, e subito vinto il premio Pulitzer. Ogni paragrafo mi presenta in controluce il riflesso della signora A. e mi sottrae un altro milligrammo di speranza per lei. Una guerra a tutto campo quella descritta da Mukherjee, una guerra segnata da qualche successo a cui è stato dato enorme risalto, ma in fin dei conti un'impresa fallimentare.





In fin dei conti, non si è quasi mai felici o infelici per ciò che ci succede, si è una cosa o l'altra a seconda dell'umore che ci scorre dentro, e il suo è argento fuso, il più bianco fra i metalli, il migliore fra i conduttori, il riflettente più spietato. Il conforto di saperla così forte si mescola alla paura di non essere davvero indispensabile per lei e di esserle attaccato, fra gli innumerevoli modi in cui le sono attaccato, come una sanguisuga che succhia la vita altrui, una specie gigantesca di parassita.





- Sette per uno?


- Sette.


- Sette per sei?


Emanuele conta sulle dita, lentissimo. - Quarantaquattro.


- No, quarantadue. Sette per zero?


- Sette.


È ironico, anzi no, è sadico: con una laurea in fisica teorica, una specializzazione in teoria quantistica dei campi e una generale dimestichezza con il formalismo più avanzato del calcolo simbolico, non sono in grado di trasferire nella testa di mio figlio il motivo per cui un numero qualunque moltiplicato per zero dà come risultato zero. Mi sembra di vedere l’interno del suo cranio, il cervello fluttuante in una nebbia dove le affermazioni si disperdono senza costruire alcun senso.





Le persone che si prendono cura di noi non hanno quasi mai l'accortezza di farlo nel modo in cui ci piacerebbe, ma bisogna accontentarsi: è già molto così.





Basta arrendersi una volta per scoprire di non possedere più il coraggio necessario.





L'innamoramento, immagino, resterà sempre per me qualcosa di molto affine all'essere stanato.





Ero sicuro che l'argento di Nora e il mio nero si stessero mischiando lentamente e che lo stesso fluido metallico e brunito avrebbe infine percorso entrambi.





Ci sono avventure che hanno il loro epilogo scritto nell'inizio. Forse qualcuno, compresa la signora A., ha pensato anche solo per un minuto che le cose potessero andare diversamente da così? Qualcuno ha scomodato per lei la parola «guarigione»? No, mai. Al massimo dicevamo andrà meglio, ma non credevamo neppure in questo. Il suo declino era racchiuso per intero nell'ombra polmonare impressa sulla prima lastra toracica. «Tutte uguali le storie di cancro». Forse. Ciò non toglie che la sua vita è stata unica, meritevole di un racconto tutto per sé; la sua vita è stata degna della speranza, fino all'ultimissimo istante, che il destino potesse riservarle un'eccezione, un trattamento speciale in cambio dei servigi che lei aveva reso a tanti.





- Allora mi raccomando, - le ho detto.


Lei mi ha sorriso. Non c'era più bisogno di fingere, la morte era già lì, insieme a noi, occupava la metà vuota del letto, ma se ne stava calma ad attendere.




Il nero e l'argento, Paolo Giordano


Non c'è niente da fare: Paolo Giordano mi affascina. Se scrivesse anche una cosa insulsa probabilmente mi piacerebbe lo stesso, forse perché in primis sono incuriosita e attratta dalle persone che hanno mille sfaccettature e trovano il modo per conciliarle o per rinnovarsi, cambiando totalmente la propria vita. Può darsi che il mio miglior insegnante del liceo (matematico e filosofo) abbia instillato in me questa necessità di avere da un lato la certezza della scienza e dall'altro le emozioni delle storie. Paolo Giordano è come lui: un fisico e anche uno scrittore, uno scrittore di storie belle per giunta, perciò mi affascina.





Di Alice e Mattia ne parlavano tutti alla fine del liceo, qualcuno aveva addirittura basato la propria tesina sulla solitudine, in loro onore. Io li ho conosciuti dopo, nel bel mezzo di un anno che sarebbe dovuto essere soltanto sabbatico, li ho conosciuti e sono rimasta colpita e sconvolta. Mi sono proiettata nel futuro e ho avuto paura di poter diventare una matematica pazza e asociale, come Mattia, perciò è stata anche un po' "colpa" di quel super osannato romanzo d'esordio di Giordano se ho lasciato che la matematica diventasse solo una materia su cui dare ripetizioni agli altri e non la mia facoltà.


Poi è stato il turno dei militari italiani in missione di pace in Afghanistan, di un corpo umano a brandelli. Un'altra storia complessa e molto ambiziosa.







E adesso Il nero e l'argento, apparentemente il romanzo più "normale" di Paolo Giordano. Non ci sono pazzi, non ci sono guerre, c'è solo una famiglia qualunque al centro della storia.


C'è Nora, c'è suo marito, c'è il loro bambino Emanuele. È il marito, di cui non si conosce il nome, che racconta in prima persona i fatti. Credo sia la prima volta che Giordano usi un narratore interno. Lui, il narratore, è un ricercatore fisico, come l'autore, uno scienziato come Mattia de La solitudine dei numeri primi, è a contratto e vorrebbe provare ad andare all'estero, ma Nora non è d'accordo. È nero: malinconico, chiuso, concreto, realista, metodico. Nora è un architetto d'interni, la prima ad avergli davvero sciolto il cuore. Lei è l'argento: vitale, forte, combattiva, estroversa, conduttrice di elettricità. Il loro rapporto si basa sul mescolarsi del loro nero e argento, sui loro opposti che trovano un punto d'incontro, sulle loro vitalità e mancanze che si compensano.


Quando Nora resta incinta ha delle complicanze per cui deve passare tutto il tempo a letto, per questo insieme al marito decidono di prendere una donna in casa, per aiutarli. Così arriva nelle loro vite la signora A., detta da loro Babette, una signora vedova da decenni che amorevolmente li accudisce. È una donna vecchio stampo, una che resta un po' sgomenta di fronte a questi mariti che fanno le lavatrici e a queste mogli che usano il trapano. Babette si fa volere bene e resta con quella giovane famiglia anche dopo la nascita di Emanuele. Diventa una di casa, quasi una mamma per Nora.


Quando, dopo anni, lei annuncia che se ne deve andare perché ormai è stanca, Nora e il marito si sentono persi, quasi incapaci di mandare tutto avanti da soli. I nodi all'improvviso vengono al pettine, soprattutto a causa del motivo della stanchezza di A.: un cancro ai polmoni che presto la divorerà. 


Il narratore si trova stretto tra la razionalità e talvolta la freddezza della sua scienza cui ha dedicato e dedica la vita, e la voglia di non crederci, di non credere alle PET, agli esami, alle TAC. Si trova schiacciato tra la voglia di essere sincero e l'impossibilità di non fingere una speranza fittizia di fronte alla Babette della sua vita.


Nora appare più disinvolta e al tempo stesso più addolorata per la malattia senza scampo di A.


La prima volta in cui una coppia si trova di fronte alla malattia è un momento complicato, gli equilibri possono saltare facilmente, per il nervosismo e perché nel dolore le persone tirano fuori un lato diverso che in situazioni normali non mostrano. Anche i due protagonisti affrontano un periodo piuttosto burrascoso, sembrano distanti, ancora giovani eppure tristemente innamorati di un ricordo del passato, sembrano stare già insieme solo per abitudine, sembra che non abbiano già più niente da dirsi. 


Senza A. ad accudirli tirano fuori il peggio di loro stessi, amplificano i propri difetti e il proprio egoismo, lasciando ben poco al sentimento che li ha messi insieme. Il nero di lui e l'argento di lei diventano insolubili.





Ne Il nero e l'argento non c'è lo strazio de La solitudine dei numeri primi e non c'è nemmeno la grandezza del tema de Il corpo umano, tra queste poche pagine (poco più di cento) è racchiusa una storia qualunque, quella che si potrebbe nascondere dietro le tende della casa a fianco a noi, o forse proprio anche nella nostra. L'autore si stravolge ancora una volta, diventa più semplice e sintetico, meno patetico e complicato. 


Racconta il dolore con un filtro scientifico che è il suo e che appiccica anche al narratore del romanzo, perciò non dà vita a un romanzo melodrammatico e strappalacrime, sebbene si parli di cancro, di come porti alla morte e di come venga affrontato dalle persone accanto ai malati.





Una bella storia, un bel romanzo. 




Reccomendation Monday #4 [un libro autunnale, un libro ambientato a scuola, un libro letto a scuola]


Per tutte le informazioni su questa rubrica ideata da Una fragola al giorno cliccate qui. Io ho sviluppato un po' liberamente il tema e ho scelto tre argomenti adatti a questo penultimo lunedì settembrino.




Mi ricorda semplicemente l'autunno in cui l'ho letto, tra gli ulivi.








Sempre di domenica #32







1- La food art di Daryna Kossar e il suo profilo su Instagram.


2- Unhappily ever after. La fine delle storie Disney se fossero state reali e non fiabe. Il post che mi ha fatto conoscere questo Tumblr è qui.



4- Un'idea di felicità di Luis Sepulveda. Un articolo uscito su L'Espresso qualche mese fa.


5- Walk about Italia, il blog di una donna che sta attraversando a piedi l'Italia. L'ho conosciuta grazie al progetto di Una cosa al giorno, che non so se vi ho già consigliato in altre domeniche precedenti. In ogni caso, è bello trovare ogni giorno un'email con curiosità che altrimenti non avremmo mai scoperto forse, perciò vi invito a iscrivervi alla pagina che vi ho linkato qualche riga sopra.


Buon proseguimento di domenica!


Scarabocchi di creatività. Gufi amigurumi // Gufi all'uncinetto // Gufi di carta // Gufi riciclati


Non amo particolarmente i social network: Twitter è troppo veloce e sintetico e su Facebook non ho neanche un vero profilo. Poi c'è Pinterest e Pinterest è tutta un'altra storia: è un altro mondo, dove l'arte e la creatività regnano incontrastate generando bacheche bellissime che io resterei ad ammirare per ore. Pinterest è il mio diavolo tentatore, il luogo in cui tutto mi sembra possibile, il posto dove la mia lista di progetti aumenta in maniera compulsiva. Non so che farci: mi piace pressoché tutto!




Ho pensato che è giunto il momento di aprire una finestra del blog su questa parte di me, su quella che si rotolerebbe in mezzo ai gomitoli e riempirebbe casa con tutte le cose più belle (inutili, per alcuni) del mondo.

Perciò questa è la prima di chissà quante puntate in cui cercherò di dare un ordine ai miei mille pin sparsi.

Il tema di oggi ruota intorno ai gufi, da cui mi sento piuttosto affascinata ultimamente.



Spero che restiate anche voi colpiti da tanto colore e fantasia!



Buona visione!




Per gli schemi: 1  // 2  (questo l'ho fatto, è quello che adesso occupa il posto delle Converse, qui sul blog) // 3  //  4  // 5




Borsetta  //  Collana (non c'è lo schema, ma per chi è pratico con l'uncinetto non sarà complicato riprodurla)  // Applicazione 3  //  Applicazione 4  //  Applicazione 5







Gufo pon pon 1  //  Pallina di Natale 2  //  Gufi coi pirottini 3  //  Gufi riciclati 4  //  Gufi coprimatite coi ritagli di feltro 5  










Segnalibro 1  //  Scatolina rossa 2  //  Busta 3  //  Busta 4




Linky Party C'e' Crisi

Nessuno sa di noi, frasi [Simona Sparaco]






All'ospedale non ci sono più malati di quanti ce ne siano fuori. Siamo tutti costantemente alla ricerca di una cura. Una cura che ci stravolga, che ci cancelli persino, purché ci salvi. Che ci faccia tornare indietro o che ci spinga in avanti. Anche dopo aver sconfitto l'incurabile, torniamo tutti, prima o poi, alla ricerca di una cura.





Non mi riconosco in nessuna definizione. Mi sento fluida, sempre sul punto di tracimare, un fiume inquieto che si disperde in mille rivoli. Gli altri li ho incrociati come calamità naturali: hanno provocato smottamenti, piccoli movimenti tellurici, vortici capaci di risucchiarmi. Ma Pietro è stato il primo a cambiare le cose. Il primo a costruire argini e a imporre una direzione al mio corso. Il primo che mi abbia fatto sentire solida: lo stampo dentro al quale ho trovato una forma.





La vita non è sempre un dono [...] e non è neanche un dovere.





Crescendo si scopre che tutto ha un limite. Persino l'amore. E noi che lo credevamo grandioso, indistruttibile. Ma l'amore è una ferita che non guarisce mai, sempre sul punto di riaprirsi. Basta un niente perché s'infetti.





Nella storia dell'evoluzione, a un certo punto, abbiamo barattato il nostro istinto primordiale per una testa pensante. Senza però mettere in conto cosa avrebbe potuto pretendere. O che cosa avrebbe sofferto nella mancanza di risposte.




Between lenses // Silenzio [Settembre]






Conosco Alice da almeno tre anni, penso sia una delle prime amiche che ho incontrato in questo oceano di blog. Di lei ho sempre apprezzato la semplicità, la pulizia, la grafica di ogni suo spazio. Quello che mi è mancato di più nei suoi momenti di pausa dal web è stato il suo modo curioso di porsi nei confronti di tutto il resto del mondo. Alice è sempre stata un vulcano di idee e sono superfelicissima che sia tornata.





Grazie al suo post di ieri ho conosciuto Between lenses, una rubrica fotografica ideata da Of tree and hules. Il gioco è semplice: ogni mese viene scelto un tema al quale noi dobbiamo cercare di associare una foto.


Il tema di settembre è il silenzio.



È difficile trovare il silenzio in una foto.

Il primo stato d'animo che mi è venuto in mente, associato a questo tema mensile, è stato il dolore, ma il dolore non lo immortaliamo mai. Eppure è il momento in cui, più di tutti, mi sembra di vivere in una bolla d'aria, dove non entrano neanche le voci degli altri, che pure ci sono.

Silenzio è anche ciò che mi avvolge di fronte a qualcosa di davvero bello, così bello da togliere il fiato, così bello da lasciare senza parole. La natura spesso riesce nell'intento di rendere superfluo ogni commento. Che cosa c'è da dire in mezzo a un prato verde in cui ci si può rotolare, con l'aria fresca tutta intorno e il vento che pettina i capelli?

Niente.

Silenzio. 




Per tutte le informazioni su questo "gioco fotografico" vi rimando qui, al post originario.



E voi, come lo fermereste il silenzio in un'immagine?



Nessuno sa di noi, Simona Sparaco


Nessuno sa di noi è stata, per me, una lettura meravigliosa. Una lettura notturna, perché non riuscivo a staccarmi da quelle pagine. Una lettura dolorosa. Una lettura di quelle che ti prende subito e non lascia la morsa finché non ha finito di stritolarti la pancia, la testa e il cuore. Una lettura forte. Una lettura importante. Una lettura coraggiosa.




Anzi, coraggiosa è stata l'autrice, Simona Sparaco, per aver pensato e raccontato in maniera così profonda una storia su un tema tanto delicato: l'aborto terapeutico.





C'è un amore grande tra Luce e Pietro, un amore per cui da tempo vivono sotto lo stesso tetto e provano ad avere un figlio. Per molti mesi non ci riescono, poi un bel giorno arriva Lorenzo. Lorenzo che sguazza nell'amore incondizionato dei suoi genitori fin dal primo istante, Lorenzo che fluttua nella pancia di Luce, che scalcia, che si fa sentire, che si fa vedere durante le ecografie. Mancano due mesi alla sua nascita quando i medici si accorgono che non è cresciuto bene, è una questione di millimetri, ma i millimetri in un feto di quelle dimensioni sono fondamentali. Luce e Pietro sentono i pareri di più dottori, dei più bravi, ma niente, sono unanimi nel loro giudizio: Lorenzo è affetto da una grave malattia, forse non sopravviverebbe alla nascita, ma la tragedia sarebbe se ce la facesse, perché la sua non sarebbe una vita e non sarebbe più vita quella dei suoi genitori. Che cosa fare dunque? Pietro e Luce sono davanti a un bivio, a due strade ugualmente dolorose, con l'unica differenza che un caso viene portato come esempio dai moralisti e dalla chiesa e che l'altro viene considerato al pari di un omicidio, per il quale poi ci si sente addosso il peso dei giudizi della gente. Sono costretti a volare all'estero per far valere un proprio diritto di scelta. 


Poi tornano, in due, con una pancia sgonfia, meno soldi e tanto dolore in più.


C'è una stanza con gli orsacchiotti in casa, un lettino ancora impacchettato, vestitini con l'etichetta che Lorenzo non userà mai.


Luce si spegne, mentre Pietro cerca in tutti i modi di riagganciare i fili, ma i mesi passano e quell'interruttore lui non riesce proprio a trovarlo.




L'ho letta così, questa storia. Avvolta dal mio piumoncino rosa. L'ho letta senza tirare fiato, rapita da descrizioni tanto vere quanto crude, conquistata dal modo di scrivere di quest'autrice.

Io penso che sia complicato raccontare il dolore, credo che sia facile lasciarsi prendere la mano e diventare banali, lagnosi, superflui. Simona Sparaco non l'ha fatto: ha mantenuto uno stile asciutto e deciso, si è limitata a narrare i fatti con una precisione millimetrica, senza dare giudizi, senza fare la morale. Sarà stata senz'altro un'operazione difficile quella che ha portato alla nascita di questo libro.



Penso che ci siano tante Luce intorno a noi, ma nessuno sa di loro, perché in fondo in fondo siamo tutti più bravi a puntare il dito piuttosto che a cercare di capire. Cercare sì, perché nessuno credo possa davvero capire un dolore del genere se non lo vive.

Ogni tema che scatena dibattiti etici ha in sé mille sfaccettature ed è così delicato che penso che nessuno dovrebbe imporre la propria visione agli altri, perché non c'è da scherzare o da essere superficiali sull'eutanasia o l'aborto, perché non c'è da essere giudici di niente.

Sono la prima ad aver sempre detto che all'aborto non avrei mai ricorso, ma non avevo mai pensato all'aborto terapeutico, eppure questo libro mi ha fatto capire che non è una realtà così remota. Non se ne parla mai, ma esiste. Pensiamo tutti che, come ogni cosa brutta, a noi non accadrà, ma non lo possiamo davvero sapere. Magari siamo portatori sani e inconsapevoli delle peggiori malattie, magari non siamo forti quanto crediamo di essere. La realtà è che di fronte a certe scelte il dolore è obbligatorio. Nessuna madre, nessun padre, va incontro a cuor leggero all'aborto terapeutico. Nessuna donna torna a casa col sorriso sulle labbra dopo aver partorito un figlio mai nato. Nessuno fa i salti di gioia nel battezzare un feto che non ha mai visto altro che le pareti interne di un utero. Dovremmo mettercelo tutti in testa e porgere la mano, non puntare il dito.



Leggetelo, se potete. In quelle pagine c'è più luce di quello che probabilmente ho lasciato intendere io, e poi c'è Pietro, un personaggio bellissimo, secondo me. Un uomo. Semplicemente un uomo, che ama la sua donna e le indica la via, con un raro mix di forza e sensibilità.







Non mi riconosco in nessuna definizione. Mi sento fluida, sempre sul punto di tracimare, un fiume inquieto che si disperde in mille rivoli. Gli altri li ho incrociati come calamità naturali: hanno provocato smottamenti, piccoli movimenti tellurici, vortici capaci di risucchiarmi. Ma Pietro è stato il primo a cambiare le cose. Il primo a costruire argini e a imporre una direzione al mio corso. Il primo che mi abbia fatto sentire solida: lo stampo dentro al quale ho trovato una forma.








Sanditon, Jane Austen


Non ricordo di aver già letto un libro restato, purtroppo, a metà. Che dico a metà? Sanditon è appena cominciato. Jane Austen è riuscita solo a dipingere il ritratto di alcuni personaggi, prima di posare la penna per sempre. 


L'unica consolazione è che almeno è riuscita a far intendere, in questo centinaio di pagine, come sarebbero andati a finire tutti quegli amori in corso, se solo avesse avuto tempo per riempire altre decine e decine di fogli. 





Quello che ho compreso (o intuito sbagliando) è che Charlotte è una brava ragazza, che Mr e Mrs Parker sono gentili, che Sanditon è un posto bellissimo che diventerà una famosa meta turistica col tempo, che Sidney Parker, per quello che di lui dice il fratello, è un bel tipo, esuberante e divertente, che potrebbe conquistare il buon cuore dell'ospite di casa, cioè di Charlotte. 


Jane Austen non ha fatto in tempo a raccontarci l'incontro e le evoluzioni tra i due, ma probabilmente immagino che sarebbero stati destinati a un felice epilogo, come accaduto a Mr Darcy e Lizzy, ad esempio.





Non mi è piaciuto leggere un'opera incompleta, per fortuna che l'ho iniziata sapendo che non c'avrei trovato una fine, altrimenti ci sarei rimasta di stucco poi. In realtà il fatto che io sapessi della malattia e della morte della Austen, avvenute durante la stesura di quello che sarebbe dovuto essere un altro suo romanzo, ha fatto sì che io affrontassi il centinaio di pagine di Sanditon con un certo senso di tristezza.





Ho faticato per completare questa breve lettura, ma non penso che abbia poi tanto senso dire se queste pagine mi siano piaciute o no, visto che tutto, nella mente dell'autrice, sarebbe dovuto essere diverso.



Sempre di domenica #31


Dopo l'ultima puntata risalente a ben quattro mesi fa, direi che il "sempre" sta assumendo un'accezione del tutto ironica.


Comunque, ecco che torna l'unica rubrichetta del mio blog abbastanza costante nel tempo.










1- Rashad Alakbarov dipinge usando luci e ombre. Se anche voi di fronte alle ombre cinesi rimanete a bocca aperta sicuramente rimarrete colpiti dalle opere di questo artista. Una rapida ricerca su Google rende meglio l'idea!
2- 12 libri bellissimi che però non esistono.  Citati in altri romanzi sembrano essere veri, e invece...
3- Instagram, l'arte del "cakebook". L'unione di due delle mie passioni più grandi. Alzi la mano chi vuole un dolce così per il suo compleanno!
4- 33 opere di street art per chi ama la letteratura.  Opere dell'artista francese Levalet.
5- Libri nei film. Un blog davvero carino e originale. Quante volte vediamo un film dove qualcuno sta leggendo qualcosa senza poi soffermarsi su quel qualcosa? Be', questo blog risolve in parte il problema! Io lo trovo geniale! 





Allacciate le cinture [e portate i fazzoletti]


Inauguro oggi la rubrica delle cose che non credevo possibili e invece.


Non credevo possibile piangere per un film con Francesco Arca protagonista. E invece.





All'inizio sembrava una storia qualunque, quella di due giovani amiche, Silvia Elena, poco più che ventenni, che si scambiano i fidanzati. Sembrava una storia come tante altre, con loro due che, prima di mandare a monte l'una la storia più o meno d'amore dell'altra, sognano di aprire un locale tutto loro, un giorno, insieme a Fabio, l'amico gay.


Tredici anni dopo quel locale esiste davvero, è di Elena e Fabio, che sono cresciuti, ma si vogliono sempre bene come allora e hanno ancora dei sogni nel cassetto. Elena è ormai sposata con quel bell'Antonio che ha rubato a Silvia un decennio e oltre prima. Hanno due figli e un sentimento che non sembra esistere più. Lei lavora giorno e notte e lui è sempre il solito sciupafemmine. Quello che la gente pensa di loro l'ho pensato anch'io: Elena è decisamente troppo per quell'ignorante razzista donnaiolo di Antonio.


È una realtà, la loro, comune chissà a quante famiglie. Restano insieme per finta, per abitudine, per comodità, per i figli. C'è una donna che fa da madre e da padre e un padre che è restato quel ragazzino tatuato che era un tempo, solo con la pancia al posto della tartaruga da palestrato.


Poi, ecco la svolta.


Elena scopre di essere malata: cancro al seno. Inoperabile. Da far regredire con le terapie.


I sogni si mettono in pausa.


Antonio scappa.


I capelli cadono.


La nausea.


L'ospedale.


La compagna di stanza che diventa amica e che poi muore.


L'amore che ritorna, forse.



Non sapevo parlasse di questo, Allacciate le cinture. Ho dei seri problemi con i film che affrontano la malattia di Elena. Ho dei problemi anche solo a nominarlo, il cancro al seno, perché sì, saranno vere quelle statistiche secondo cui ormai è ampiamente curabile, però egoisticamente che te ne fai anche del 99% dei successi se i tuoi casi "amici" rientrano in quell'1%?

Per questo ho pianto.

Per quella giovane donna/madre/moglie/imprenditrice che all'improvviso vede calare il sipario sulla propria vita che sarebbe dovuta essere molto più lunga di così.

Perché Elena l'ho conosciuta, le ho voluto bene, le ho sorriso e le ho parlato al futuro, fingendo.

Non importa se il film ci ha risparmiato i giorni più brutti, quelli senza dignità, io so che ci saranno nella vita di Elena dopo i titoli di coda.

Forse ho pianto anche per quello che non ho visto, ma solo immaginato.

Che ne sarà di quella famiglia, che ne sarà di quei bambini? 


La vita è così cattiva, certe volte.

Pane cose e cappuccino dal fornaio di Elmwood Springs, frasi [Fannie Flagg ]




"Non vi piacerebbe poterlo fermare, il tempo? Impedirgli di andare avanti?"

"Ammesso che si possa fare", intervenne Anna Lee, "tu lo faresti?"

Dorothy ci pensò su. "Oh, tesoro, se potessi lo fermerei in questo stesso istante, mentre ho intorno tutta la mia famiglia. Adesso". Si voltò verso il marito. "E tu, Doc? Quando lo fermeresti?"

Lui sbuffò una nuvola di fumo dalla pipa. "Adesso sarebbe un ottimo momento. Niente guerre, e stanno tutti bene." Guardò Dorothy e sorrise. "E la mamma non ha ancora perso la sua figuretta."

Dorothy rise.

"È già troppo tardi per questo, Doc. E tu, Anna Lee?"

Anna Lee tirò un sospiro. Aveva appena preso il diploma di scuola superiore ed era diventata improvvisamente saggissima. "Se solo avessi saputo allora quello che so adesso, lo avrei fermato l'anno scorso, quando ero ancora giovane."

Dorothy sorrise alla figlia. "E tu, Mamma Smith? Quando lo fermeresti, il tempo?"

Mamma Smith ifletté a lungo. "Non lo fermerei affatto. Credo che lo lascerei continuare a scorrere."

"Davvero?"

Nel 1904, quando era ancora bambina, Mamma Smith era stata portata alla grande Esposizione Universale di St. Louis, e da allora non faceva che aspettare con ansia il futuro. "Direi proprio di sì. Non vorrei mai correre il rischio di perdermi qualcosa di buono. Potrebbe già essere qui dietro l'angolo."

"Forse hai ragione, Mamma Smith", mormorò Dorothy. "Non abbiamo idea di che cosa ci riservi il futuro."

"No, non ne abbiamo idea. Ma provate a immaginare come sarà la vita tra venticinque anni."

Anna Lee fece una smorfia. "Io sarò vecchia con i capelli grigi."

Mamma Smith rise. "Può darsi, ma io allora sarò già morta da un pezzo, e tu sarai lì in prima fila!"



Era sempre stata un tipo solitario. Non si sentiva legata a niente e a nessuno. Aveva quasi l'impressione che tutti gli altri fossero venuti al mondo con un foglio di istruzioni per l'uso, e a lei si fossero dimenticati di darlo.



"Sa, è da tutta la vita che mi sento dire che un giorno da qualche parte incontrerò qualcuno, e anche se lo conoscerò poco o niente e avremo passato pochissimo tempo insieme, saprò che è la persona che fa per me."



I guai per la gente cominciano quando si allontana troppo dalla natura.



Voglio che tu mi senta attraverso la pelle, che tu beva le mie parole come se fossero vino, perché raggiungano ogni parte di te. Voglio penetrarti nelle ossa, nei muscoli, nei capelli. Voglio che tu riconosca il mio amore per te con ogni cellula del tuo cervello, in ognuno dei tuoi pensieri e dei tuoi sogni. Voglio essere nell'aria che respiri, in modo che a ogni respiro tu sappia che a questo mondo c'è qualcuno che ti appartiene, ti conosce e ti amerà per sempre...e se dopo il sempre esiste ancora qualcosa, che ti amerà anche allora.



La bellezza sta negli occhi di chi guarda.



"Lei crede in Dio?" domandò Dena, e subito dopo se ne stupì. Perché glielo aveva chiesto?

Lui la guardò divertito. "In Dio? I casi sono due. O è l'essere più perfido che sia mai esistito, oppure è il più menefreghista. Di sicuro è bravissimo a guardare dall'altra parte. E come finge di essere sordo lui, non sa fingere nessuno."



Non possiamo cambiare il nostro passato, ma possiamo cercare di rendere più piacevole il nostro presente.



"Se il sangue 'africano' esiste - cosa che non credo - lei non ne aveva più di una goccia. Il sangue è ugual dappertutto. Ma all'epoca era così: per i gusti di molti, un sedicesimo di sangue africano era già troppo. Per la legge eri nero a tutti gli effetti."



"Tu credi in Dio, zia?"

"Certo che ci credo, tesoro. Perché?"
"Quanti anni avevi quando hai cominciato a crederci?"

Zia Elner ci pensò su. "Io ci ho sempre creduto. Non ho mai messo in dubbio la sua esistenza. Secondo me la fede è un po' come la matematica: certi la intuiscono, altri devono ragionaci. [...] Oh, mi rendo conto che molta gente si dibatte nel dubbio che Dio non esista: ci ragionano su anche per tutta la vita. Naturalmente il buon Dio ha dovuto crearle, le persone intelligenti, ma secondo me non gli ha fatto nessun favore, perché cominciano a mettere in dubbio le cose fin dal giorno in cui vengono al mondo. Io non l'ho mai fatto. Sono fortunata, io. Ringrazio Dio ogni sera: il cervello che mi ha dato è perfetto per me, né troppo grosso né troppo piccolo."


Di cambiamenti, miei e del blog


Scarabocchi di pensieri ha tre anni, se siano tanti o pochi per un blog non ne ho idea, però so che tre anni per me, alla mia età, sono molti. Se tre anni fa fossi andata all'università adesso sarei laureata, se tre anni fa mi fossi fidanzata con "quello giusto" magari ora vivremmo insieme. Ma lasciamo perdere i miei infiniti periodi ipotetici. Oggi non ho compiuto nessun passo tanto importante, però guardandomi indietro, pensando a chi ero nel 2011 e pensando chi sono ora, mi sembra di essere cambiata comunque.


Tre anni fa della mia nipotina non c'era nemmeno una cellula, tre anni fa avevo ancora le mie "vecchie" amiche, tre anni fa il mio cuore batteva sempre per quel tipo che me l'ha sequestrato per un tempo decisamente troppo lungo, tre anni fa avevo appena sperimentato per la prima volta la pasta di zucchero, tre anni fa con l'uncinetto facevo solo centrini.


Nonostante apparentemente non siano cambiate molte cose nella mia vita in questi mille giorni, io credo che invece oggi possa elencare tante cose belle che prima non avevo: l'amore bellissimo della zietta, due amiche vere, scatole piene di gomitoli colorati, amigurumi, pupazzetti di zucchero, storie.





Sebbene non mi sia mai laureata e non abbia mai trovato un uomo tanto importante da poter anche solo pensare di dividere o moltiplicare la mia vita con lui, ecco, nonostante questo, io mi sento più grande, mi sento diversa da quella che ero quella notte in cui ho aperto il blog.


Per questo ho scelto di togliere le Converse che da sempre mi avevano contraddistinta nel web, perché pensandoci è da tanto, tantissimo tempo, che non le compro più. Porto anche i tacchi, adesso. E mi sento più donna e ogni tanto perfino bella, pure con quei chili di troppo che avrei pagato per non avere, una volta. 


Ho tolto le mie tanto amate Converse, insomma. Al loro posto c'ho messo un gufetto che ho fatto durante la scorsa primavera, un gufetto che adesso vive appollaiato sui libri (su uno di Fruttero e Gramellini, in questo momento), un gufetto dormiglione, portafortuna, sognante. Un gufetto in compagnia di un libro, una penna blu e la tenda celeste della mia camera. Non ha un nome, ma se avete idee si accettano suggerimenti! 




Il gufetto non è stato certo l'unico cambiamento. Ho passato tre giorni dietro a mille codici html e css e alla fine è uscito fuori questo. Avevo bisogno di qualche cosa di diverso per farmi tornare la voglia di scrivere, ammetto che forse mi è presa via un po' troppo la mano, comunque il risultato mi piace. 




Di seguito alcuni link utili che sono stati fondamentali per colorare il blog secondo i miei progetti. Li appunto qui per evitare di disperdere ore e ore di ricerca nel web e perché magari potrebbero essere utili anche per voi!








Bene, per ora mi sembra tutto.







Buona settimana!





Settembre - Buon anno!







Settembre è uno spazio indeciso, un nuovo inizio, un lungo respiro, un’occasione.




Si iniziano diete, scuole, lavori e amori.




Si tagliano capelli e ponti.




Si comprano vestiti, libri, biglietti aerei.




Settembre spegne lentamente gli entusiasmi estivi e li riporta alla realtà invernale.




A settembre si fa la muta. Si lascia il vecchio, si abbraccia il nuovo.




Nella mia testa è a settembre che inizia un nuovo anno, non a gennaio.




È a settembre che decidiamo come vivere il nuovo anno.




È a settembre che decidiamo di vivere l’inverno immersi in maglioni pesanti, tè alla cannella, calzini coi fiocchi di neve e candele accese quando è buio.




Ma con il sole di agosto negli occhi.




Questo è quello che auguro a me stessa per questo inverno, e anche a tutti voi.




Buon inizio, buon anno. 

[foto e brano tratti da "Impressioni di settembre" di Via che si va] 







Non avrei saputo scrivere meglio di così quello che è per me settembre, mese di ripartenze e compleanni, di fogli bianchi e tanta voglia di fare qualcosa di nuovo.


Da domani riprendo in mano l'uncinetto, ricomincio a leggere con più costanza, smetto di uscire tutte le sere. Da domani rileggo tutti i blog che ho abbandonato e torno a cercare nuove ricette da provare. Da domani. Ché è settembre e il cielo è il più bello di tutto l'anno e le pesche sono quasi mature e non è più troppo caldo per andare a fare le passeggiate il pomeriggio.


La notte mi accoccolo dentro il profumo d'autunno del mio pigiama lungo, con ancora addosso gli odori dell'estate appena finita. Un'estate dalle temperature giuste per me, un'estate con i maglioncini di sera e le mie scarpe rosse. Un'estate senza stelle cadenti, con sogni nuovi e nuove persone, ma anche sempre le stesse. Un'estate di litigate in cui mi sono accorta di essere più forte di quello che credevo, un'estate in cui ho capito di essere davvero una persona coerente, dai principi forti, che non calpesto, mai. Un'estate in cui non so che fine abbia fatto la mia proverbiale diplomazia da bilancina. Un'estate in cui ho tagliato rapporti che non mi piacevano, un'estate in cui sono stata più amica e nemica di sempre, un'estate passata in cucina, un'estate di vino e nutella. Un'estate in cui ho risentito il mio cuore battere, anche se forse per sbaglio o solo per un attimo.





E adesso c'è tutto il nuovo anno che ci aspetta, da domani.


Penso di sapere quello che voglio.


Non penso di sapere come costruirlo.





Costruire è potere e sapere rinunciare alla perfezione.






E voi? Che cosa vorreste costruire nell'anno nuovo? Avete progetti?



Nel frattempo vi lascio con un po' di immagini della mia bella estate, bacioni!

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