Pane cose e cappuccino dal fornaio di Elmwood Springs, Fannie Flagg

Era in casa da almeno dieci anni. Da uno scaffale della libreria di mia sorella mi avrà visto crescere e cambiare, di notte avrà osservato le mie lacrimucce per cose più o meno grandi e forse avrà spiato i miei sogni, in tutto questo decennio e più in cui di cose son successe eccome.

Se un giorno mi sposerò, anzi se un giorno me ne andrò da qui (cosa che vedo più probabile del matrimonio, per mie convinzioni non so quanto temporanee), porterò con me tutti i miei libri, spazio permettendo. Mia sorella non l'ha fatto, non che avesse chissà quanti libri suoi. Pane cose e cappuccino dal fornaio di Elmwood Springs era uno di quelli però. Uno di quei libri che ha lasciato a prendere la polvere, sul vecchio ripiano della vecchia libreria, nella sua vecchia camera, di cui, ebbene sì, mi sono impossessata.

Questo libro di Fannie Flagg da mesi vive con i miei, una settimana fa ho deciso di iniziarlo a leggere e adesso mi chiedo perché io abbia aspettato così tanto tempo, prima di farlo.



Ho ancora qualche arretrato estivo su cui scarabocchiare, ma questo romanzo dal lungo titolo, che ha riaperto le mie letture dopo l'estate, mi è piaciuto così tanto che non posso non dargli la precedenza.



Dena Nordstrom è una trentenne americana, futura stella della televisione. È già famosa, in verità, alla fine degli anni '70, quando si ritrova all'improvviso, senza sapere bene come, con la propria vita appesa a un filo. Chi è Dena? Una donna in carriera, alta quasi due metri, bionda. Questo pensa di sé all'inizio del romanzo, queste sono le caratteristiche che elenca a un'ipnoterapauta nera e sulla sedia a rotelle, la dottoressa Diggers, che ha preso il posto dello psichiatra Gerry O'Malley. Dena non ha famiglia, il padre è morto in Europa durante la seconda guerra mondiale, quando lei non era ancora nata, e anche la madre non c'è più. Dena racconta a tutti che è morta quando lei aveva quindici anni, in un incidente d'auto, ma i suoi malesseri, le sue ulcere, lo stress, rivelano che c'è più di un nodo da strigare nel suo passato.

Dena impiega mesi, anni addirittura, per riuscire a guardarsi allo specchio e a perdersi, non riconoscendosi più. Ed è in quel momento, nell'attimo in cui capisce che non saprebbe più rispondere alla domanda Chi sei?, che ricomincia a vivere, a ricercare i pezzi mancanti del suo passato, per costruire una nuova Dena, più vicino a quello che sente, sempre bellissima, anche se magari meno luccicante e meno famosa. Ed è lì, in quell'istante, che decide di tendere una mano verso gli altri, per smettere di essere solo una bionda, bellissima, conduttrice, per provare a essere qualcosa di più: una nipote, un'amica, una moglie.



La trama è trita e ritrita, c'è la solita donna bellissima e in carrierissima che è restìa all'amore e a lasciarsi andare alla sua reale natura, fino a che un giorno realizza di essere qualcosa di diverso da quello che ha creduto di essere per trent'anni e cambia. E torna alle origini. E toglie gli abiti coi lustrini. E si innamora.

Dicevo, insomma, che la trama è molto usata, ma questo non fa del romanzo della Flagg una lettura noiosa e banale, tutt'altro.

Non è banale anche solo per il tema del razzismo. Io non avevo mai sentito parlare di negri bianchi ed ecco che questo romanzo mi ha fatto scoprire la loro presenza. Mi ha fatto scoprire che negri non erano solo quelli dalla pelle scura, ma anche quelli che la pelle ce l'avevano chiara, ma nel loro sangue avevano una goccia di sangue negro, magari appartenuto a un bisnonno, per dire. Ed ecco che quell'unica, piccolissima, goccia di sangue "sbagliato" riesce a provocare sofferenze a più di una generazione di discendenti.

C'è quella goccia di sangue negro all'origine di tutte le peripezie del romanzo.

Le quasi 500 pagine pullulano di personaggi davvero fantastici, io ne ho nominati solo tre, ma ce ne sarebbero altri quindici probabilmente, ognuno di loro con qualcosa di speciale, negativo o positivo che sia.

Inoltre ho particolarmente amato anche la struttura circolare del romanzo, che si apre e si chiude con la stessa scena di una donna che ha un proprio programma alla radio, pieno di belle notizie, che trasmette dal proprio salotto di casa. Ovviamente sia all'inizio che alla fine la scena è ambientata nella stessa casa, a cambiare nell'arco dei trent'anni che riempiono la storia è la donna protagonista della scena: prima Dorothy, poi Dena.



Fannie Flagg, piacere piacere piacere di averti conosciuta. A presto!!!






Io sono di legno, frasi [Giulia Carcasi]


















La parola del legno non è uniforme,



è una polifonia


di rumori ardenti


che hanno come diapason


le foglie mosse dal vento.





Alda Merini








Sei una donna di ieri, non di oggi: ti porti addosso la notte prima.






Io non vorrei essere Mia, vorrei essere di qualcuno, sapere di appartenergli e non muovermi da lì.


Mia è un nome solo.


Preferirei chiamarmi Tua.





Io non sono capace di perdonare, penso che quando cominci a perdonare è difficile smettere, è un vizio che rischia di farti passare per fesso.





Preferisco la teoria alla pratica, mi sembra che in teoria le cose riescano meglio.






Scrivere è qualcosa di intimo, più intimo del sesso, quello si fa uno incastrato nell'altro, si fa senza studiare il corpo che si ha di fronte, dentro.


Scrivere è spogliarsi di fronte a qualcuno, lasciarsi guardare così, nudi e in piedi, pieni di difetti di carne.







Marzia dice "è come se fossi mia sorella", ma io lo so che non è vero.


Perché lei una sorella ce l'ha già.


Perché dire "è come se fossi" non è come dire "sei".






Noi donne siamo così, c'illudiamo che tutto dipenda da noi, che bastava spostare una virgola per cambiare il destino.






"Non cambiare gli altri, cambia tu" diceva.






C'è solo una cosa che irrita nel profondo: il mare.


Il mare è logorroico, non ce la fa proprio a stare zitto. Tu sei lì che vuoi stare per i fatti tuoi, che vuoi farti un giro nei tuoi discorsi e lui insiste, spush spush, ti bagna i piedi, s'intromette, spush spush, richiama attenzione.






Il mio professore di fisica dice che l'universo tende al disordine, le molecole si allontanano ogni giorno di più una dall'altra. Io penso che anche le persone funzionano così, ogni giorno si disperdono fino a non ritrovarsi.



E non capisco che senso ha amare, concentrarsi su una persona e basta. Preferisco passare la notte con uomini di cui non m'importa, non avere le loro foto, dimenticarne all'alba nomi e facce.


Mi basta solo una parte di loro, la più sporgente, l'unica che non ho.







Avevo letto quel libro la sera stessa. Parlava di un uomo comunista in una Turchia che andava nella direzione opposta, parlava della donna che aveva amato, di come contavano i giorni per rivedersi fuori dal carcere, di come in quella prigione fiorissero le rose ogni volta che lei entrava.


Era un libro che parlava d'illusioni tanto vere che sembrava impossibile non vivere e non morire per loro.







"Io penso che l'amore sia un sacrificio sociale. E tu puoi dirmi che non è vero, ma questo è quello che ho visto. Mi guardo intorno ed è pieno di gente divorziata, di storie d'amore franate e io come faccio a stare con una persona e a credere che non finirò anch'io tra quelle macerie?"


"Io penso che un tuo bacio può valere le macerie in cui forse un giorno mi lascerai."







"E tu, Luca, ce l'hai la ragazza?"


"No."


"E non ne senti il bisogno?"


"Che vuol dire avere bisogno? Si hanno un sacco di bisogni. Bere, mangiare. Avere la ragazza non dev'essere un bisogno, dev'essere un sogno."






Io non farò l'avvocato perché, a volte, quello che è legale non è onesto e quello che è onesto non è legale.





"Amore e tosse non si possono nascondere" diceva Sofia nel suo italiano zoppo.






Chi sono io per giurarti sull'eterno?


Non sono padrona del tempo.


Ma sono schiava di te.







"Che tu abbia lei non è tutto il mio tormento, [...] ma che lei abbia te è quanto più m'accora, una sconfitta in amore che mi brucia dentro. [...] Entrambi vi trovate e io vi perdo tutti e due e, voi, per amor mio, m'infliggete questa croce."


Ci sono poesie che andrebbero messe in tasca, per tirarle fuori quando servono. Ci sono poesie che andrebbero caricate come pistole, per premere il grilletto e ammazzare il dolore che, se rimane inspiegato, cresce.







"È capitato una volta e basta, te lo giuro" ripete lui, io non voglio sentire, io mi tappo le orecchie con le mani, lui ripete "una volta e basta", come se non fosse niente, se è capitato una volta non è niente.


Io potrei morire e potrei uccidervi una volta e basta, se capita una volta non è niente, no?







La ceramica si rompe, fa subito mostra dei suoi cocci rotti. Il legno no, finché può nasconde, si lascia torturare ma non confessa.


Io sono di legno.






Non ci si innamora delle regolarità di un corpo, noi ci siamo innamorati dei difetti: la sua cicatrice per una caduta dal motorino, le mie scapole sporgenti, le sue orecchie a sventola, la mia voglia di caffellatte nell'interno coscia.





"E tu che prendi?" ci si chiede a turno. Luca farà Fisica, sa che ho paura del mondo e allora vuole smontarlo come un tostapane, capire come funziona e darmi un libretto d'istruzioni. Vuole dimostrare che l'entropia non è valida per gli umani, forse l'universo tenderà al disordine, forse le molecole sono destinate ad allontanarsi, ma gli esseri umani no o almeno, lui e io, no. "E tu che prendi?" mi chiedono.





"Io ho studiato Medicina perché tu studiassi Lettere o musica o danza."





Vedi, Mia, noi fantastichiamo oltre le porte degli altri, ci convinciamo che la nostra vita con un'altra cornice sarebbe andata diversamente, cerchiamo altri padri, altre madri, le protezioni che non abbiamo avuto. Ce la prendiamo col destino, che ci ha fatto nascere qua e non là, perché con qualcuno ce la dobbiamo prendere. Perché non c'è niente di peggio del pensiero che, partendo da presupposti diversi, le cose sarebbero andate ugualmente.






I dvd.


Vai al menù principale e ti chiedono se vuoi seguire il film in francese, spagnolo o italiano.


Puoi selezionare le scene, se vuoi quella che ti dà fastidio la salti a piedi pari.


Mi chiedo: e se la vita fosse un dvd?


Se una frase non la vuoi sentire, selezioni il francese e puoi non capirla.


Se incontri Luca, puoi non vederlo e andare avanti.


Tutto questo mi sembra figo.


Poi, però, mi chiedo: a cambiare lingua e scena, cambia anche il finale?







C'è una storia che raccontano dalle mie parti, una storia adatta a quelli che inciampano. "Puoi camminare guardandoti i piedi e allora, è raro, ma potrai inciampare lo stesso; di sicuro, perderai un tramonto che si spegne davanti a te, i disegni di uno stormo d'uccelli sulla tua testa. Oppure puoi camminare guardandoti attorno, quasi sicuramente inciamperai, però avrai raccolto i regali della terra."


Io non ho dato retta a questa storia, io dopo avere inciampato, semplicemente, ho smesso di camminare.






Quando torno dall'ospedale, avrei voglia di sedermi sul divano accanto a te, poggiare la tua testa sul mio grembo e parlarti. Preferirei parlarti invece di scrivere, che scrivere è una vigliaccata, è dire le cose alle spalle, è rispondere quando si ha la risposta pronta e il momento di rispondere è già passato.






"Lascia perdere, la gente quando sta male dice cose senza senso."


"La gente quando sta male è vera come non mai" 






"A me piacerebbe una figlia," dice mentre mastica, "un maschio no, i maschi hanno bisogno di meno attenzioni, crescono tra gli amici, si guardano alle spalle da soli, capiscono quali sono le donne sbagliate e quelle giuste, con le prime si divertono, con le seconde si sposano e mettono su famiglia. I maschi nascono grandi e ti fanno fare il padre a metà. La femmina è diversa. La devi proteggere da tutto, s'innamorerà degli uomini sbagliati e tu devi metterla in guardia, riceverà complimenti volgari e tu farai in modo che non senta. La femmina devi stare attento che non perda l'incanto."





Forse, a raccontarsi fino in fondo, nessuno al mondo è nella condizione di giudicare.






Penso che smetterò di scrivere, diario.


Penso che comincerò a parlare.


Penso che quest'estate è vicina e non ho ancora organizzato un viaggio.


Penso che a novembre dovrò iscrivermi all'università e non ho ancora un'idea precisa.


Penso che non m'importa, voglio smettere di pianificare la mia vita, che certe volte alla vita bisogna togliere il guinzaglio, lasciarla andare dove va.



Io sono di legno, Giulia Carcasi [Amore e tosse non si possono nascondere]



Scrivo diari fin da quando ero piccina.

Il primo che ho avuto era giallo, aveva sulla copertina un elefantino azzurro e aveva le pagine profumate decorate con una cornicetta grigia tutta intorno. Aveva le righe larghe, adatte alla mia scrittura precisa e gigantesca. Soprattutto era un diario con un lucchetto, che chiudevo sempre facendo attenzione. Eh, beata ingenuità! Solo poco tempo dopo ho scoperto che per aprire quel lucchetto non serviva nessuna chiave, così è finita l'epoca dei diari segretissimi coi lucchetti finti ed è iniziata quella dei diari-quaderni-agende normali. Ho scritto sempre tanto e ho sempre temuto che qualcuno potesse sbirciare tra le mie pagine, qualcuno tipo la mia mamma. Chissà se ha mai letto niente di nascosto. Tuttora mi auguro di no.



La madre di Mia però l'ha fatto. E di questo parla Io sono di legno: di una figlia adolescente che sfugge alla madre Giulia e della madre che, per conoscere la figlia, non ha niente di meglio da fare che frugare tra le sue cose, tra le sue parole. Che cosa orribile. Povera Mia!

Come spesso accade, mamma e figlia sembrano diversissime, salvo poi scoprirsi molto molto simili, col loro nocciolo di legno in comune.




La ceramica si rompe, fa subito mostra dei suoi cocci rotti. Il legno no, finché può nasconde, si lascia torturare ma non confessa.


Io sono di legno.


In realtà la madre non si limita a leggere il diario della figlia, ma si mette addirittura a scriverne uno lei, per raccontare a Mia il suo passato complicato, le sue sofferenze, per dire alla figlia che non è solo la donna fredda e meticolosa che vede lei, per raccontarle la ragazza che è stata, per spiegarle il suo essere legnoso, spezzata dentro, dolorante, ferita. Per dirle come è arrivata lei, Mia, nella sua vita. Per farle capire che può capirla, per chiederle di non avere più troppa paura dell'amore. Per spronarla a non compiere i suoi stessi errori.

Il romanzo è costruito su un'alternanza tra i diari di mamma e figlia, alternanza che spesso mi è apparsa piuttosto confusa. Certe volte non riuscivo a capire chi parlasse delle due.



Di Giulia Carcasi ho letto migliaia di citazioni in giro su internet, soprattutto su Tumblr, citazioni davvero bellissime nella maggior parte dei casi. Un suo libro intero non l'avevo mai letto prima di questo. Al momento penso che siano più belle le singole frasi pescate qua e là della storia nell'insieme. In ogni caso questa è stata una piacevole lettura estiva, forse d'inverno mi avrebbe fatto un altro effetto.






Penso che smetterò di scrivere, diario.


Penso che comincerò a parlare.


Penso che quest'estate è vicina e non ho ancora organizzato un viaggio.


Penso che a novembre dovrò iscrivermi all'università e non ho ancora un'idea precisa.


Penso che non m'importa, voglio smettere di pianificare la mia vita, che certe volte alla vita bisogna togliere il guinzaglio, lasciarla andare dove va.





p.s. Per scrivere questo post c'ho messo sette giorni, ma sto tornando al blog...piano piano. A presto, stavolta è vero!